Libri: Le Otto Montagne, di Paolo Cognetti
Con questo primo articolo vorrei provare a portare la lettura, un’altra delle mie grandi passioni, all’interno del Blog. Di seguito non troverai una recensione, non ho assolutamente le competenze necessarie per esprimere qualsiasi tipo di giudizio. Se decido di parlare di un libro è perché comunque esso ha catturato la mia attenzione, stimolato il mio pensiero o è risultato particolarmente utile.
Di cosa parla
Si tratta del racconto di un’amicizia, quella tra il protagonista Pietro e il compagno di avventure Bruno. Un rapporto nato e cresciuto in montagna, luogo che entrambi amano e che rappresenta il punto d’incontro tra due percorsi di vita che si sviluppano in modo completamente differente. Per Pietro la montagna diventerà nel tempo un luogo in cui rifugiarsi per ritrovare se stesso e per abbandonare la frenesia della città, per Bruno invece costituirà l’unico posto in cui vivere e lavorare. Nel romanzo si parla inoltre del rapporto tra un figlio unico e i propri genitori, anch’essi amanti della montagna.
Chi è l’autore
Paolo Cognetti è uno scrittore dei nostri tempi, nato a Milano, class 1978. Di lui avevo già letto e apprezzato “Il ragazzo selvatico. Quaderno di montagna.”. Nel momento in cui scrivo quest’ultimo è disponibile gratuitamente in formato eBook per gli abbonati Amazon Prime ma merita assolutamente l’acquisto in formato cartaceo. Con “Le otto montagne”, che è stato tradotto in 38 paesi del mondo, ha vinto il Premio Strega 2017.
Pensieri e riflessioni
Durante la lettura di questo bel racconto sono scaturite in me alcune riflessioni sul mio rapporto con la montagna e con la vita. Le riporto di seguito trascrivendole dal mio quaderno cartaceo allo scopo di condividerle e di stimolare una discussione.
Le nostre origini non dipendono dal luogo in cui siamo nati o cresciuti ma dal nostro passato, dalla storia della nostra famiglia.
Le possiamo trovare nelle due o tre generazioni precedenti alla nostra, nei nostri genitori e nei nostri nonni. Sono nei loro racconti di vita quotidiana e nelle fotografie che troviamo all’interno delle case che frequentiamo fin da piccoli. Sono appese alle pareti o appoggiate sui comodini, luoghi di commemorazione e di testimonianza storica.
Come genere umano siamo naturalmente portati ad adattarci ma se non lo spegniamo completamente il nostro istinto ci riporta alle origini rivelando la nostra vera natura, il nostro "Io" più profondo e viscerale.
Non credo sia un caso che le prime montagne che ho visitato sono quelle che ho conosciuto attraverso i racconti dei miei genitori. Le Colombine, la Punta di Reai, il Maniva, la Corna Blacca e la Pezzeda. Ci sono salito ed ho subito sentito un legame speciale con questi luoghi, come se in qualche modo avessi ritrovato la giusta strada da percorrere: quando mi sentirò nuovamente smarrito so che potrò tornarci per ritrovare me stesso.
La vetta è un obiettivo irrinunciabile e raggiungerla dà un senso all'escursione stessa.
Nel racconto questa è la visione del padre di Pietro ed è un modo di vedere la montagna ed il trekking che in questo momento condivido. Difficilmente scelgo un percorso che non preveda il passaggio su una vetta e per me andare in montagna significa raggiungerne la cima, toccarne la Croce e ammirare il panorama circostante da dove non è più possibile salire, semplicemente perché il sentiero finisce. Mi rendo conto però che questo non è l’unico approccio possibile, devo solo riuscire a trovare lo stesso senso di appagamento nel compiere una tipologia differente di escursione. Magari potrei iniziare da una via ferrata, oppure da un bel percorso che lambisca uno o più laghi.
Cosa cerchiamo davvero in montagna? Perché sentiamo il bisogno di tornarci nonostante ciò richieda tempo e fatica?
Me lo domando davvero molto spesso cercando di capire come questo magico luogo riesca sempre ad attirarmi e a condurmi a se. Non è la solitudine che cerco, non vado in montagna per stare da solo e per emanciparmi. Difficilmente durante le mie lunghe escursioni provo una sensazione di disagio e di solitudine. Forse quello che cerco è il silenzio inteso non tanto come assenza di suoni e di rumori ma piuttosto della parola, della voce umana. Il mio lavoro mi porta ad essere sempre in contatto con le persone e quindi a dover sostenere decine di conversazioni quotidiane. Migliaia di parole da capire e interpretare, continui stimoli che costringono la mente ad un lavoro costante.
Anche Pietro si trova ad affrontare una vita lavorativa simile e forse fugge in montagna per ripulire la propria mente. A esso si aggiunge il ricordo d’infanzia, il legame con le proprie origini e con il passato, qualcosa che sente il bisogno di rinnovare ritrovando l’amico Bruno che la montagna invece non la lascerà mai.
Personalmente cerco la distanza, nel tempo e nello spazio.
Ho bisogno di mettere fisicamente dello spazio tra me e ogni luogo che ospita la civiltà, gli uffici, le automobili, il traffico, le tensioni e le preoccupazioni. Questo spazio vuoto fa emergere tutte quelle cose concrete che contano davvero: sono davvero poche e ciò rende davvero semplice metterle in ordine e fare pulizia. Nel romanzo di Cognetti trovo vincente la scelta di ridurre al minimo i riferimenti alla tecnologia. Emergono solo le attività più semplici: accendere il fuoco, cucinare, riparare il tetto della baita, trasportare le provviste. Anche i riferimenti temporali sono davvero pochi e forse in un racconto che parla di montagna non servono: le cose si fanno oggi esattamente come in passato, come le facevano i nonni.
In conclusione
Si tratta di un racconto che offre molti spunti di riflessione e nel complesso piacevole, merito anche della semplicità di linguaggio volutamente adottata dall’autore. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi del libro e conoscere il tuo pensiero in merito alle tematiche affrontate, potrebbe uscirne una discussione stimolante.
E’ possibile acquistarlo su Amazon cliccando qui, potrebbe anche essere un bel regalo per un amico con il quale condividi la passione per la montagna!